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Il Bullismo

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Si definisce bullismo (dal verbo inglese to bully = tiranneggiare) un comportamento aggressivo che è intenzionale, ripetuto nel tempo e che implica uno squilibrio di potere o di forza che mette, chi lo subisce, nell’ impossibilità di difendersi.

Il bullismo può essere diretto, quando viene praticato in prima persona, o indiretto quando si spinge qualcun altro a praticare angherie; può consistere in abusi fisici e/o psicologici.

In genere tra i ragazzi prevalgono le prepotenze fisiche subite da compagni dello stesso sesso, tra le ragazze prevalgono l’esclusione dal gruppo, l’emarginazione, la diffamazione vera e propria – le ragazze subiscono aggressioni sia da parte di altre ragazze sia da parte di ragazzi, mentre per i ragazzi è più raro essere “oppressi” da parte di ragazze.

I paesi anglosassoni che hanno un primato storico rispetto alla nascita del fenomeno hanno promosso innumerevoli studi riguardo al bullismo. Da tali indagini emerge che i bambini ed i ragazzi che praticano il bullismo presentano alcune caratteristiche comuni:

  • impulsività, carattere aggressivo e dominante,

  • facilità alla frustrazione,

  • mancanza di empatia,

  • difficoltà a seguire le regole,

  • interpretazione positiva della violenza,

  • spesso, prestanza fisica,

I ragazzi che praticano il bullismo incorrono più facilmente anche in altri comportamenti antisociali come:

  • assentarsi ingiustificatamente da scuola,  

  • bere alcolici, fumare, fare uso di droghe, 

  • vandalismo, 

  • risse,

  • portare armi, 

  • etc.

Risulta dagli stessi studi una preoccupante correlazione tra bullismo giovanile e criminalità adulta.

Per quanto riguarda le cause socio-familiari del fenomeno vi possono essere diverse origini, tuttavia anche in questo ambito sono state individuate delle costanti:

  • Mancanza di calore e coinvolgimento affettivo dei genitori.

  • Permissività eccessiva.

  • Mancanza di supervisione.

  • Uso di pene corporali.

  • Atteggiamenti prevaricanti usati in famiglia.

Da questo quadro è semplice evincere le responsabilità collettive:

  • Modelli mass-mediali che presentano la prepotenza come una virtù e indulgono in un uso esasperato e plaudente della violenza.

  • Disprezzo delle regole condivise e premialità dei comportamenti prevaricanti.

  • Anomia sociale.

  • Diffusione di insicurezza sociale derivante da condizioni di precarietà.

  • Violenza diffusa sia in ambito familiare che sociale (maltrattamenti domestici, criminalità diffusa, sfruttamento delle persone e dei bambini sia a fini lavorativi che criminali e di sfruttamento sessuale).

I genitori, il più delle volte sono “costretti” all’assenza affettiva e di sorveglianza dalla flessibilità del lavoro, sono spinti ad assumere atteggiamenti prevaricanti a causa della frustrazione dovuta al mobbing (versione adulta del bullismo) subito sul lavoro, sono esageratamente ansiosi a causa della precarietà delle situazioni lavorative-finanziarie e questo fa trasmettere loro insicurezza che scatena nei bambini una anomala suscettibilità alle frustrazioni e, non ultimo, essi stessi mancano di riferimenti valoriali, succubi di una pressione all’apparire e all’avere che premia chi vince indipendentemente da come (pensiamo ai finanzieri d’assalto, piuttosto che ai campioni dopati, alle modelle rifatte, etc.).

Per quanto riguarda chi subisce il bullismo, manifesta:

  • Bassa autostima

  • Alti tassi di depressione

  • Assenteismo scolastico

  • Idee suicidarie

  • Somatizzazioni (mal di testa, disturbi intestinali, ecc.)

  • Disturbi del sonno

  • Scarsa concentrazione

  • Emotività esasperata

 

Le conseguenze sulle vittime sono di lunga durata sia perché minano la salute, sia perché, interferendo con il successo scolastico, precludono sbocchi soddisfacenti per il proprio futuro.

 

E’ ovvio che la prevenzione di una patologia sociale così diffusa non si può limitare a “consigli pedagogici” alle famiglie.

 

E’ necessario un impegno vigilante e duraturo di tutti noi dato che la prevaricazione, nelle sue diverse manifestazioni, è diventata una vera e propria emergenza sociale (un bambino su due, in Europa, ne risulta vittima), è per questo motivo che il Consiglio d’Europa, nel 2002, convocò un gruppo di esperti che condussero una vasta indagine in vari paesi, tramite progetti pilota:

 

  • in Italia il Progetto Consolida

  • in Portogallo il Programma Escolhas

  • in Svezia il Centro di supporto per le giovani vittime del crimine

  • in Bulgaria il Centro Porta Aperta

  • in Croazia le Attività Educative

  • in Germania la Prevenzione della Violenza

  • in Slovenia le Strategie di sicurezza locale e prevenzione del crimine

A conclusione di tale studio, durato dal 2002 al 2004, il Consiglio d’Europa redasse e pubblicò, il 3 maggio 2005, un Libro Bianco “Responses to everyday violence in a democratic society” che contiene raccomandazioni politiche, linee guida generali, esempi pratici e modalità di intervento concrete suggerite ai governi nazionali.

Le linee guida emerse confermano le indicazioni contenute nel rapporto “Giovani contro la violenza” condotto da Bryony L. Hoskins e Marie-Laure Lemineur, per conto del Consiglio d’Europa nel 2001:

Intervenire a tutti i livelli di prevenzione:

  • la prevenzione primaria (es.: campagne informative),

  • la prevenzione secondaria (es.:sviluppare strategie preventive verso particolari gruppi ritenuti a rischio),

  • la prevenzione terziaria (es.: i gruppi di supporto per le vittime),

La prevenzione si attua con programmi che sviluppino abilità, che facilitino l’interazione sociale, insegnino a gestire i conflitti e promuovano comportamenti non-violenti. I programmi si articolano in diverse attività (danza, sport, teatro, lavoro di gruppo, giochi di ruolo, ecc).

L’uso di tecniche diverse si deve adattare all’età ed al profilo dei bambini/ragazzi ed essere teso a sviluppare la consapevolezza di sé, l’autostima, il riconoscimento e la gestione delle emozioni, la capacità di interagire in modo cooperativo e non conflittuale.

Le strategie di prevenzione della violenza dovrebbero puntare a programmi educativi di lungo termine per “deprogrammare” la propensione alla violenza e promuovere l’intrinseco valore dell’impegno personale e del comportamento cooperativo.

La “peer education”, ossia l’educazione tra coetanei (come testimoniano le decennali esperienze scandinave e britanniche, es. il Surrey Peer Education Project, in U.K., che prosegue dal 1986) si sono dimostrate particolarmente proficue nello sviluppare il senso di responsabilità personale, la partecipazione alla società civile e comportamenti non-violenti.

La validità di tali esperienze è determinata dal fatto che i giovani ascoltano più altri giovani che gli adulti, inoltre il fatto di essere responsabili e decidere in prima persona gli argomenti di cui occuparsi (la violenza, la criminalità giovanile, il disagio abitativo, ecc), le modalità con cui gestire il gruppo, ecc. li trasforma in protagonisti del cambiamento, accrescendo la loro autostima ed il loro rispetto di sé. Il gruppo adulto di esperti che fungono da riferimento non svolgono azioni di controllo e gestione, piuttosto di assistenza e di consulenza e questo valorizza ancora di più il ruolo preminente dei giovani stessi veri attori del cambiamento.

Tutti gli stati membri del Consiglio di Europa hanno ratificato la Convenzione dei Diritti del Bambino, che oltre a garantire i diritti dei bambini fino a 18 anni concretizza il diritto di espressione e di associazione facendo partecipare alla vita municipale e regionale i giovani che, in tal modo possono intervenire in prima persona nel processo decisionale su materie che riguardano la propria vita ed in tal modo responsabilizzarsi ed accrescere, tramite la consapevolezza del loro ruolo, il senso di autostima e di rispetto di sé, ed anche ciò si è dimostrato di fondamentale importanza in funzione non solo di prevenzione della violenza, ma anche di sviluppo di atteggiamenti propositivi e partecipativi.

Oltre a queste indicazioni si deve prendere atto della necessità dell’impegno di ciascuno di noi nel proprio ruolo di genitore, insegnante, operatore sociale, ecc.

Un solo genitore non può opporsi alla Tv degradata, ai videogiochi violenti, ai modelli deleteri; può, però, intervenire nei consigli scolastici per indicare scelte valoriali, può indire una “disobbedienza civile” rispetto al canone televisivo per richiedere una TV di qualità, può promuovere una “action class” contro i produttori di giochi diseducativi per la responsabilità nelle azioni dei loro figli e delle conseguenze deleterie dei comportamenti antisociali – non diversamente da come avviene nei confronti dei produttori di tabacco.

E’ dovere dei genitori e degli insegnanti rendere consapevoli i bambini ed i ragazzi che la prepotenza nasce dalla paura e dal silenzio, chi è vittima riesce ad emanciparsi dalla sottomissione solo se sa di poter essere protetto e di non incorrere nello scherno.

La vittima che non si confida è un’accusa a tutti noi.

E’ indispensabile anche l’azione di sorveglianza:

·        La TV ed il computer non dovrebbero essere nella stanza dei ragazzi ma in quella di passaggio ed inoltre devono essere dotate dei programmi che ne limitano l’uso secondo i criteri stabiliti dai genitori.

·        I genitori dovrebbero conoscere le frequentazioni dei figli e vagliarle, cercando di creare solidarietà di gruppo in modo tale che diversi genitori condividano i loro ruoli per non far mai mancare adulti di riferimento presenti e disponibili.

·        L’uso di strumenti dovrebbe essere correlato all’assunzione di responsabilità (motorino, videotelefonino, chiavi di casa, ecc.

Giovina Ruberti     

 

Bibliografia e link

Dan Olweus “Bullismo a scuola: ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono” Giunti 1996

Evelyn M.Field  “Difendere i figli dal bullismo” Tea Libri

 

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