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La Schizofrenia

 

La schizofrenia è una forma di psicosi caratterizzata da sintomi raggruppati in tre grandi categorie:

 

·          Sintomi positivi: percezioni e pensieri insoliti che includono allucinazioni (prevalentemente sonore), deliri, pensieri disarticolati, un progressivo distacco dalla realtà e disordine nei movimenti; possono essere più o meno gravi e sono, di solito, facili da diagnosticare.

·          Sintomi negativi: perdita o riduzione della capacità di pianificare, parlare, esprimere emozioni e trovare piacere nella vita di tutti i giorni. Questi sintomi sono comuni a diverse patologie, e possono essere scambiati per pigrizia o depressione.

·          Sintomi cognitivi (o deficit cognitivi): difficoltà di attenzione, deficit della memoria di lavoro, alterazione delle funzioni esecutive (ossia la capacità di raccogliere ed interpretare informazioni ed il prendere decisioni in base a queste). Tali deficit sono estremamente disabilitanti e impediscono il condurre una vita “normale” incidendo fortemente sul “ritirarsi” dai contatti sociali, nella perdita del lavoro, ecc.

(Nell’adolescenza i primi segni premonitori - definiti: periodo prodromico - possono consistere in un cambiare gli amici, un peggioramento del rendimento scolastico, problemi del sonno ed irritabilità; poiché tali comportamenti sono presenti anche in adolescenti “sani” una diagnosi precoce è estremamente difficile.)

Si ritiene che tale patologia abbia accompagnato la specie umana nel corso di tutta la sua storia, tuttavia l’equivoca etichetta attuale (dal greco split = diviso e frene = psiche, con riferimento alla frantumazione dell’Io nei suoi componenti: pensiero, sentimento e volontà e non, come erroneamente si continua spesso a credere, ad un manifestare diverse identità che è il sintomo della “sindrome da personalità multipla”, una diversa patologia psichiatrica, molto più rara) fu coniata, nel 1908, dallo psichiatra svizzero Paul Eugen Bleuler che la usò per  distinguere un particolare disturbo dell’ideazione precedentemente compreso nella più ampia classificazione di “dementia praecox”.

 

In genere la schizofrenia insorge tra i 17 ed i 25 anni nei maschi e tra i 25 e i 35 anni nelle femmine (con un’incidenza statistica simile nei due sessi: l’1% della popolazione mondiale); raramente può manifestarsi nell’infanzia ed ancora più raramente nell’età senile.

 

Si suppone che la schizofrenia derivi da una combinazione di fattori ambientali e biologici (ancora in gran parte entrambi sconosciuti).

 

Evidenze statistiche: L’insorgenza della malattia nel 10% di persone che hanno familiari con parentela di primo grado – padri, fratelli, sorelle, madri – che hanno manifestato il disturbo, l’elevata concordanza di schizofrenia tra gemelli monozigoti (circa il 40%), la modesta concordanza tra gemelli dizigoti (circa il 15%). Tali dati suggeriscono che si tratti di un disordine a trasmissione poligenica che conferisce all’individuo una certa vulnerabilità alla malattia.

 

La schizofrenia è presente in tutti i gruppi etnici ed in tutte le culture umane, con una leggera prevalenza statistica negli ambienti urbani.

 

Nel tentativo di svelare quale ruolo diverse culture e diversi contesti socio-economici possano giocare nell’insorgere della malattia e nel suo decorso, un gruppo di scienziati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha indagato le differenze tra la schizofrenia nei paesi sviluppati ed in quelli in via di sviluppo.

 

Lo studio ha evidenziato che alcuni sintomi della malattia, così come la prognosi, differiscono da paese a paese:

 

·          Il decorso della malattia è, in genere, peggiore nelle nazioni industrializzate che nei paesi in via di sviluppo.

 

(Si ipotizza che l’attribuire la causa della malattia a forze sovrannaturali e non quindi a “fattori” intrinseci al paziente insieme al ruolo particolarmente protettivo della famiglia estesa tradizionale possano giocare un ruolo significativo nel recupero e nella riabilitazione. L’assenza di lavori specializzati e di aspettative competitive in società non individualistiche favoriscono, a loro volta, una migliore reintegrazione nella comunità dopo un episodio psicotico).

 

·          Le “fissazioni” e le allucinazioni del paziente tendono, spesso, a riflettere temi e valori predominanti nella cultura del paziente stesso.

(Per esempio, in Irlanda - dove si dà estrema importanza ai sentimenti religiosi – si manifestano deliri di santità; negli Stati Uniti prevalgono i deliri concernenti l’uso perverso della tecnologia e l’incubo del “Grande Fratello”, in senso orwelliano: i pazienti riferiscono di essere spiati dalla televisione e di essere radiografati ai raggi X quando scendono in strada.

In Giappone, un paese nel quale vi è un alto senso dell’onore e dell’importanza del conformismo sociale, i deliri spesso riguardano la calunnia e l’essere umiliati in pubblico.

Nelle zone tradizionali della Nigeria, nelle quali si attribuisce la malattia alla presenza di spiriti demoniaci, i deliri si manifestano con la “presenza” di streghe e fantasmi degli antenati.

In alcune culture tradizionali africane le allucinazioni non sono necessariamente considerate segni di malattia mentale, piuttosto sono lette come “viaggi spirituali”: gli sciamani, i preti tribali, che agiscono come intermediari tra il mondo naturale e quello spirituale e che sono profondamente rispettati, usano i “deliri” come narrazione dei “viaggi nell’al di là”.

Lo stesso avviene in India: alcune manifestazioni cliniche ritenute sintomatiche della schizofrenia, nei paesi industrializzati occidentali, sono invece interpretate come “segni di esaltazione spirituale”, e colui che li presenta viene considerato un medium spirituale, incarnazione di un Dio Hindu.

Si deve tener presente che in molte società tradizionali il mondo degli spiriti è visto come immediato ed accessibile.

Anche nelle nostre società spesso accade che un malato di schizofrenia piuttosto che di sindrome bipolare sia sottoposto ad esorcismo invece che a cure psichiatriche, come è testimoniato dallo sconvolgente film tedesco – Orso d’argento a Berlino – “Requiem” di Christian Schmid –  che riporta una vicenda realmente accaduta, negli anni ‘70, in Baviera e, purtroppo, conclusasi con la morte della paziente dopo ben 23 esorcismi.).

 

·          Il decorso della malattia: 

o         nei paesi industrializzati occidentali è, di solito, cronico ad insorgenza graduale; 

o         nei paesi in via di sviluppo, si hanno improvvise reazioni psicotiche di grave intensità ma di breve durata, che – al contrario della “schizofrenia tradizionale” (che comporta un evitamento dei contatti sociali ed uno “spegnimento” delle emozioni) scatena una iperemotività accompagnata da eccitabilità estrema e stati confusionali.

 

Altri filoni interessanti di ricerca riguardano:

 

·          Le alterazioni biochimiche della malattia sul modello delle psicosi scatenate da abusi di sostanze, che comportano l’insorgere di sintomi affini (LSD, anfetamine, psilocibina – l’abuso scatena i sintomo positivi della malattia; fenciclidina o PCP o “polvere degli angeli”, chetamina – l’abuso induce oltre ai sintomi positivi della malattia anche quelli negativi). Tali ricerche hanno fatto scoprire che la malattia presenta alterazioni nei circuiti dopaminergici, serotoninergici ed una carenza di glutammato. Tali studi hanno già portato alla sintesi di farmaci efficaci.

 

·          Gli studi di Horrobin (Horrobin DF. (1998) Schizophrenia: the illness that made us human. Med. Hypotheses. 50: 269-88; Horrobin DF. (1999) Lipid metabolism, human evolution and shizophrenia. Prostaglandins Leukot. Essent. Fatty Acids 60: 431-7) che mettono in relazione il potenziamento della microconnettività neurale, derivato da una modifica del metabolismo degli acidi grassi, alla manifestazione delle doti connesse alla patologia quali: la creatività, il talento artistico, le doti di leader, i profondi interessi religiosi  (in realtà c’è più di una prova che suggerisce un’alterazione del metabolismo fosfolipidico alla base del disturbo schizofrenico; così come ci sono diverse risultanze che manifestazioni secondarie della creatività – la schizofrenia, la dislessia, la sindrome maniaco-depressiva, ecc. – possano dipendere da varianti della citoarchitettura del cervello).

 

·          Le alterazioni anatomico-funzionali: 

Da decenni si sospettava che i principali disturbi psichiatrici, ossia la schizofrenia e la sindrome maniaco-depressiva (sindrome bipolare), fossero malattie cerebrali – come il Pakinson e l’Alzheimer, ora - grazie alle nuove tecniche di neuroimaging ed ai progressi delle neuroscienze - si può constatare che i cervelli degli individui schizofrenici manifestano differenze strutturali e funzionali del cervello, rispetto ad individui non affetti da tale patologia: 

1.      Una significativa perdita di materia grigia (soprattutto nei lobi temporali e frontali – in alcune aree tali perdite possono raggiungere il 25%). Il danno inizia dalle regioni parietali o esterne del cervello e si estende al resto del cervello nel giro di cinque anni. I pazienti con i danni più estesi presentano i sintomi più marcati.

(Studi recenti, condotti dal Dr. Daniel Weinberger e altri ricercatori del National Institute of Mental Health hanno tuttavia dimostrato che tale perdita può essere reversibile e stanno sperimentando un farmaco promettente per il recupero della perdita cognitiva causata dalla malattia. Numerose case farmaceutiche si stanno occupando del problema ed è presumibile che nei prossimi anni si assisterà alla comparsa di soluzioni efficaci) 

2.      L’allargamento dei ventricoli

3.      Diverse anomalie neurologiche (nell’amigdala, nei lobi frontali, ecc.)

4.      Tracciati elettroencefalografici anomali

 

(Per confermare che le anomalie repertoriate non si riferissero a danni provocati da eventuali cure, nel 2002 il Dr.E. Fuller Torrey dello Stanley Medical Research Institute di Bethesda, presidente del Treatment Advocacy Center ad Arlington ha condotto uno studio su 65 pazienti, mai trattati con farmaci antipsicotici, ed ha riportato i risultati emersi dalla ricerca nel numero dell’ottobre 2002 della rivista “Studies of Individuals with Schizophrenia Never Treated with Antipsychotic Medications: A Review”).

 

·          L’indagine genetica (condotta dal gruppo del MA, Zucker Hillside all’Harvard Medical School Partners Center for Genetics and Genomics a Boston) che ha esplorato con la tecnica WGA (whole genome association – associazione dell’intero genoma) 500.000 marcatori, in ciascun individuo di un gruppo di 178 pazienti schizofrenici e 144 individui sani, il primo studio di tale portata in ambito psichiatrico. I ricercatori hanno scoperto che il legame più significativo con la schizofrenia riguardava un marcatore localizzato nella regione cromosomica chiamata “regione 1 pseudoautosomica” (PAR1), che si trova sia sul cromosoma X, sia sul cromosoma Y. Il marcatore è localizzato in prossimità di due geni (CSF2RA e IL3RA), che svolgono un’importante funzione nei disturbi infiammatori autoimmuni: producono recettori per 2 citochine (GM-CSF) e per l’interleuchina-3. Le citochine sono implicate nella risposta del corpo alle infezioni e, probabilmente, giocano un ruolo nella risposta ai danni cerebrali. Il gruppo di studiosi, lavorando congiuntamente ad altri ricercatori, ha osservato - in altri pazienti schizofrenici - molte anormalità cromosomiche. Todd Lencz, PhD, che ha diretto la ricerca allo Zucker Hillside e al Feinstein Institute, ritiene che la tecnica adottata abbia rivoluzionato lindagine genetica in campo psichiatrico. Anil Malhotra, MD, ricercatore nella stessa indagine, sottolinea che, se i risultati verranno confermati, il coinvolgimento delle citochine potrebbe spiegare perché lesposizione prenatale ai virus sia un fattore di rischio per linsorgere della schizofrenia, oltretutto ciò crea un ponte tra il rischio genetico e i fattori ambientali.

 

·          Le implicazioni epigenetiche (l’epigenetica è la scienza che si occupa della modulazione dell’espressione genetica in relazioni a fattori ambientali – dalla dieta, all’esposizione a sostanze chimiche, al comportamento, ecc), i fattori di rischio individuati sono numerosissimi, tra i principali: 

o         - Alti livelli ematici di omocisteina (a loro  volta scatenati da carenza di acido folico) in donne incinte

o         - Infezioni virali durante la gravidanza, compresa l’influenza

o        L’uso di antidolorifici (es. l’aspirina) durante la gravidanza (fattore che incrementa addirittura del 500% il rischio di schizofrenia)

o         - L’abuso di sostanze tossiche durante la gravidanza (da inquinanti chimici, all’uso di droghe, alcol, nicotina, ecc.)

o         - La carenza di vitamina D (sia in gravidanza che nell’infanzia)

o        Situazioni fisicamente e/o psicologicamente stressanti

o         - Bassi livelli plasmatici di glicina nel neonato

o         - L’età avanzata del padre

o        Ecc.

 

·          Il campo diagnostico: l’interessante ricerca svolta da un gruppo di medici svedesi diretti dal Professor Lennart Wetterburg - professore di psichiatria allo Stockholm St Goran Hospital, e riportata dalla rivista Neuroscience Letters dell’agosto 2002, che ha rintracciato nel liquido cefalo-rachidiano di malati di schizofrenia delle minuscole particelle sferiche di natura sconosciuta che hanno dimensioni intermedie tra quelle di un virus e quelle di un batterio e si ipotizza possano avere caratteristiche simili a un prione. Per ora si ignora il ruolo eziologico di  tale fattore ma ne è evidente quello diagnostico. Purtroppo i problemi etici connessi all’effettuare punture lombari a scopo di ricerca ha frenato tale indagine.

 

·          La didattica: Per migliorare la comprensione di questa patologia, il direttore tecnico - Stephen Streibig - della Janssen Pharmaceutica, una compagnia che produce una medicina per curare la schizofrenia, ha prodotto, con la consulenza di un gruppo di schizofrenici, una simulazione multimediale che immerge i partecipanti nel mondo “visto ed udito” da una persona affetta da schizofrenia; tale strumento è rivolto ai medici, agli educatori ed ai terapisti che vogliono accedere ad una conoscenza più “viscerale” della patologia.

 

Vi è una branca della medicina: la “psichiatria evoluzionistica” che, similmente a quanto fa la medicina darwiniana, indaga il “valore adattivo ecologico” di malattie presenti nella specie umana. 

 

La schizofrenia, analizzata con questo criterio, per la presenza in pressoché tutti i gruppi etnici e tutte le epoche storiche, con una prevalenza stabile, fa ipotizzare un genotipo schizofrenico risalente almeno alla migrazione dell’Homo erectus fuori dall’Africa, tra 150-100.000 anni fa:

 

·          Un primo modello promettente di “evoluzione della schizofrenia” è quello di Huxley (Huxley J, Mayr E, Osmond H, Hoffer A.- 1964- Schizophrenia as a genetic morphism. Nature 204:220-1.), che risale al 1964, tale ipotesi postula che la ridotta fecondità degli schizofrenici sia bilanciata, in termini evolutivi, dalla maggiore resistenza alle infezioni, alle allergie ed ai traumi.

 

·          Kuttner ed altri (Kuttner RE, Lorincz AB, Swan DA.-1967-The schizophrenia gene and social evolution. Psychol. Rep. 20: 407-12) sostengono che il “vantaggio evolutivo” risiede nelle maggiori doti intellettuali (è nota e dimostrata la correlazione psicosi-genialità in tutti i settori dello scibile umano dall’arte all’economia, dalla filosofia alla politica, dalla scienza alla matematica). E’ da rilevare anche la significativa presenza di parenti “geniali” di pazienti, il che potrebbe far ritenere che il vantaggio sia evidente in caso di eterozigosi mentre l’aspetto patogeno prevalga nell’omozigosi (come accade nelle anemie, nella fibrosi cistica, nella malattia di Tay-Sachs, ecc. le cui varianti eterozigotiche, “portatore sano”, proteggono rispettivamente dalla malaria, dalla diarrea emorragica e dalla tubercolosi).

 

·          Vi è poi l’ipotesi di Stevens and Price (Stevens A, Price J -2000- Evolutionary psychiatry. London and Philadelphia: Routledge) del “vantaggio del gruppo”, che si basa sia sul ruolo di “sciamano” o “capo religioso” svolto dagli schizofrenici nelle società tradizionali, sia dal ruolo di “capo carismatico” assolto nelle società moderne da famosi malati (Adolph Hitler, Giovanna d’Arco, Rasputin) come forza “aggregante” nella comunità.

 

Storicamente si riteneva che la schizofrenia fosse un disordine degenerativo non suscettibile di guarigione, oggi le cose stanno cambiando, la “guarigione” è un traguardo ancora lontano, Ella Amir – direttore esecutivo dell’AMI-Quebec (un gruppo di supporto per famiglie che convivono con malati mentali) sostiene: “Per la malattia mentale, non si può parlare di cura, ma di recupero – un processo continuo con delle ricadute durante il percorso e che non finisce mai. Recupero significa porre l’accento su quello che l’individuo può fare”.

 

Fred Frese, psicologo in pensione dal 1995, fu ospedalizzato all’età di 25 anni con diagnosi di sindrome schizo-paranoide, e nel corso di 10 anni subì numerosi ricoveri; nonostante ciò riuscì a svolgere una carriera universitaria, a diventare psicologo capo nello stesso ospedale dove era stato ricoverato, a farsi una famiglia e ad avere ed allevare due figli. Ha pubblicato numerosi libri, e divulga con conferenze, in giro per il mondo, la sua storia per testimoniare che si può “convivere” con una patologia psichiatrica devastante. Non si considera guarito, ma “in remissione”; paragona la patologia psichiatrica a disturbi cronici, quale il diabete, che vanno tenuti sotto controllo con farmaci adeguati ma che, tuttavia, lasciano in una situazione di vulnerabilità.

 

Dal punto di vista terapeutico si sono dimostrati efficaci:

 

·          L’ EPA (Acido etil-ecosapentanoico; uno degli acidi grassi Omega 3), come terapia coadiuvante – studio riportato su “Am J Psychiatry. 2002;286(6):159(9):1596-1598”

 

·          L’aripriprazolo che agisce come potente agonista parziale di recettori D2 della dopamina, come agonista parziale dei recettori 5-HT1A della serotonina e come agonista dei recettori 5-HT2A. (Riferimento: “J Clin Psychiatry 2002; 63:763-771)

 

·         Negli USA, in Svezia ed in altri 17 stati – tra cui Germania, Spagna e Brasile, con nomi commerciali diversi, è stato approvato l’uso combinato del trattamento intramuscolare (formulazione per la terapia acuta, ossia il controllo rapido del comportamento agitato dei pazienti) ed in pastiglie (per il trattamento di mantenimento) dello ziprasidone mesilato della Pfizer Inc. 

 

I ricercatori statunitensi ritengono che la natura dinamica della farmacopea per la schizofrenia renda necessario includere nei formulari farmaceutici sia gli antipsicotici tradizionali (sul mercato dalla seconda metà degli anni 50 e che agiscono prevalentemente nel controllare i “sintomi positivi” della malattia: cloropromazina, aloperidolo, perfenazina e flufenzina e che, purtroppo, possono causare effetti collaterali extrapiramidali, ossia: rigidità, spasmi muscolari persistenti, tremori e irrequietezza) che i cosiddetti antipsicotici atipici (immessi sul mercato negli anni ’90, che agiscono sia nel controllare i sintomi positivi che nel recuperare i deficit cognitivi: la clozapina, che ha la grave controindicazione di causare “agranulocitosi” – una perdita dei globuli bianchi, indispensabili per combattere le infezioni; i successivi: risperidone, olanzapina, queiatapina, sertindolo che non producono sintomi extrapiramidali e non causano agranulocitosi, ma possono determinare consistenti aumenti ponderali – fino al 30% del peso corporeo – e conseguente aumento del rischio di sviluppare diabete e ipercolesterolemia, inoltre nei primi giorni, a volte settimane, di trattamento possono manifestarsi disforia, formicolii percepiti quando si cambia posizione, visione confusa, tachicardia, problemi mestruali, ipersensibilità al sole, eritemi).

 

La risposta al trattamento è individuale così come l’insorgere di effetti collaterali,  sta quindi all’équipe medica individuare, a volte in seguito a diversi tentativi, la terapia più adeguata che, non essendo risolutiva, andrà comunque seguita per lunghi periodi quando non indefinitamente; in alcuni casi è proficuo associare alla cura farmacologica un supporto psicologico e terapie riabilitative cognitivo-comportamentali.

I pazienti affetti da schizofrenia possono, e devono, svolgere un ruolo attivo nella gestione della malattia. Una volta imparati gli elementi base della patologia ed i principi del trattamento, possono prendere decisioni informate riguardo alla scelta della cura e auto- monitorarsi sull’insorgere dei primi segnali di una ricaduta per imparare ad affrontarli ed a prevenire la crisi. Possono acquisire strategie per imparare a convivere con i sintomi persistenti, possono partecipare a gruppi di auto-aiuto ed intraprendere attività riabilitative volte a reintegrarsi nella società, a riprendere il lavoro, a gestire le proprie finanze e a cogliere occasioni per sviluppare abilità comunicative.

Giovina Ruberti   

 

Bibliografia e siti

Brunner “Interpretazione della schizofrenia” Milano: Feltrinelli, 1963

A.A.V.V. “Capire ed aiutare il paziente schizofrenico” Milano: Feltrinelli, 1981

Aguglia, E. Aspetti biologici della schizofrenia. C.U.L.C. Catania  1984

Arieti, S. Interpretazione della schizofrenia. Volume l. Feltrinelli Milano 1978

Adam Hedgecoe “Schizophrenia and the Narrative of Enlightened Geneticization”

McGorry PD, Jackson HJ, eds. The Recognition and Management of Early Psychosis: A Preventive Approach.New York, NY: Cambridge University Press; 1999

 
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