Il Dr. Timothy Bates ha collaborato con scienziati dell’Università di Edimburgo nel condurre uno studio su 1.300 persone di età compresa tra i 12 ed i 25 anni, nel tentativo – alla fine riuscito - di correlare la capacità di lettura, di scrittura e di compitazione con il diverso assetto allelico (in sostanza la diversità genetica) dei 13 geni che influenzano tali funzioni.
Tali risultati rendono diagnosticabile precocemente, addirittura in fase pre-natale la predisposizione alla dislessia e quindi ipotizzabile un più adeguato e precoce intervento riabilitativo.
Questi risultati confermano l’ipotesi avanzata nel 2005 dal professor associato Jeffrey Gruen – della Yale School of Medicine, che era risuscito a correlare le differenze del gene DCDC2 sul cromosoma 6 ad un diverso “cablaggio” cerebrale nelle aree della corteccia temporale (in particolare gli individui affetti da dislessia presentavano una delezione, cioè una zona mancante, su detto gene) e che aveva pronosticato che altri geni fossero implicati in questo disturbo. I risultati genetici (le differenze del gene DCDC2) erano stati confermati da diversità sia anatomiche, repertoriate in fase autoptica su soggetti con dislessia, sia funzionali (monitorate con la PET – tomografia ad emissione di positroni e con la fMRI – imaging da risonanza magnetica funzionale – effettuate durante esercizi di lettura svolti da soggetti con dislessia e paragonati agli stessi test eseguiti su soggetti senza il disturbo).
Tali risultati erano stati confermati dalle ricerche sulle differenze funzionali tra soggetti con dislessia e soggetti che non manifestavano difficoltà di lettura, condotti con la MEG (magnetoencefalografia – che misura non solo le diverse aree che si attivano, in questo caso durante la lettura, ma anche l’attivazione in tempo reale e quindi evidenziano la “tempistica” dell’attivazione delle diverse zone), effettuate dal professore associato Panagiotis Simos dell’Università di Creta, in Grecia, svolte in collaborazione con gli scienziati dell’University of Texas Health Science Center of Houston.
I bambini con dislessia non attivavano, durante la lettura, un’area localizzata nel lobo temporale sinistro mentre attivavano zone dell’emisfero destro non attivate dai soggetti di controllo.
In forme lievi di dislessia si riscontrava l’attivazione delle stesse zone cerebrali usate da soggetti non affetti dal disturbo, ma con tempistica diversa.
Tali soggetti (15 bambini di età compresa tra gli 8 e 9 anni) sottoposti ad una riabilitazione intensiva di 16 settimane (2 ore al giorno per le prime 8 settimane per il miglioramento della discriminazione fonologica; 1 ora al giorno per le successive 8 settimane imperniate sul riconoscimento delle parole, la comprensione e la fluenza) hanno manifestato un netto miglioramento della capacità di lettura. Coloro che avevano ottenuto i maggiori progressi, ad un esame di neuroimaging, mostravano – durante la lettura - l’attivazione del lobo temporale sinistro, coloro che avevano ottenuto risultati più limitati mostravano un accentuata attivazione delle zone dell’emisfero destro (aree di compensazione) senza attivazione del lobo temporale sinistro.
E’ significativo che in entrambi i gruppi si era modificata anche la tempistica dell’attivazione.
Studi analoghi, eseguiti nel 2004 dalla dottoressa Guinevere Eden della Georgetown University a Washington sugli adulti, tramite fMRI (i soggetti erano stati sottoposti ad una riabilitazione intensiva di 8 settimane – 3 ore al giorno concentrate sulla discriminazione fonologica ed il riconoscimento delle parole) avevano non solo testimoniato la plasticità del cervello adulto, ma dimostrato la stessa correlazione: correzione del disturbo/attivazione del lobo temporale sinistro; scarsi miglioramenti/attivazione solo delle aree compensatorie.
Ancora una volta si conferma l’inscindibile legame geni-ambiente. La diversità genetica modula la “suscettibilità” ai fattori ambientali (induttori).
La ricerca deve sempre procedere sui due versanti genetica/ambiente, nell’equazione quando non si può intervenire su un fattore si può modificare l’altro.
Conoscere gli induttori ambientali fornisce lo strumento preventivo e o terapeutico del disturbo.
In questo caso sembra evidente che l’apprendimento della lettura per discriminazione fonologica, partendo cioè dalla compitazione delle singole lettere possa svolgere questa funzione preventiva e riabilitativa.
A cura di Giovina Ruberti