Considerate le dimensioni del disagio giovanile e le forme diversificate in cui si manifesta sarebbe ingenuo e riduttivo proporre una soluzione che non tenesse conto delle dinamiche complesse del fenomeno, altrettanto sbagliato sarebbe immaginare di gestirle nella loro totalità dimenticandosi che al centro di qualsiasi situazione collettiva vi sono gli individui ed è pensando a questi che sembra opportuno centrare l’attenzione sulla responsabilità del singolo.
Affinché il singolo si senta protagonista e non vittima delle situazioni e quindi in grado di determinarle e non di subirle bisogna agire sulla prevenzione e promuovere nei bambini il senso critico, l’autonomia, l’autodeterminazione, la capacità decisionale, la capacità di affrontare le diverse situazioni (anche quelle più drammatiche ed impreviste), in breve tutte quelle caratteristiche riassunte nella formula “coping and resilience” (“affrontare ed adattarsi”)
il Dr. Sam Goldestein (responsabile della rivista “Journal of Attention Disorders” e coautore di due libri sulla resilienza nei bambini) ad un recente convegno su “Cervello e apprendimento”, rivolto ad educatori e genitori, a questo proposito, ha parlato di “cambio di paradigma”, ossia “prevenire” e non aspettare che si manifesti il danno per intervenire.
Secondo tale specialista i tre maggiori promotori di resilienza sono:
· Un temperamento che eliciti risposte positive, dagli altri
· Relazioni familiari che promuovano fiducia, autonomia, spirito di iniziativa e connessioni
· Sistemi di supporto comunitario che rafforzino l’autostima e l’autoefficacia
IL temperamento è una caratteristica individuale che determina il modo in cui si interagisce con l’ambiente ed è per questo che l’educatore deve assumere il ruolo di mediatore ossia l’interporsi tra lo stimolo e il ricevente e tra il ricevente e la risposta, per ottenere, in ogni situazione la risposta più proficua ed efficace.
Per sviluppare, nel bambino, attitudini positive è importante “vivere” i valori che si propongono ed assumere, in prima persona, un atteggiamento positivo e propositivo; bisogna evitare di etichettare le difficoltà del bambino “circoscrivendole” il più possibile all’interno di un ritratto che metta in risalto le caratteristiche positive e le doti del bambino, affinché non si manifestino sentimenti autosvalutativi e pessimistici, ma al contrario si attivi un ottimistico impegno a recuperare gli eventuali deficit.
Bisogna avere un atteggiamento autorevole che renda partecipe e protagonista il bambino, il che significa motivare i limiti postigli e spiegare il significato e le finalità dei doveri attribuitigli, è necessario responsabilizzarlo fin da piccolo coinvolgendolo nella vita familiare facendoli svolgere mansioni adatte alla sua età, responsabilizzandolo sull’uso del denaro ed abituandolo in tal modo progressivamente a gestirsi in modo autonomo. Essere “viziati” significa essere infelici, incapaci di far fronte alle situazioni. La dipendenza sviluppa anaffettività, risentimenti e rimpianti; L’indipendenza, al contrario, rafforzando l’autostima e la sicurezza derivanti dal sapersi gestire, rende sinceri l’affetto e l’amore perché non li vincola ai bisogni egoistici.
Un altro insegnamento vincente è quello della gestione delle emozioni, vi ci educa con il teatro, con i giochi di ruolo in piccoli gruppi, con l’ausilio di procedure cognitive, esistono una molteplicità di strumenti al riguardo, persino dei videogiochi ad hoc.
E’ fondamentale anche insegnare una comunicazione efficiente, anche in questo ambito le “offerte formative” valide sono numerose.
Essere consapevoli dei propri punti di forza e delle proprie debolezze rafforza una autostima produttiva che spinge a chiedere aiuto senza sentirsi svalorizzati.
Le caratteristiche principali adatte ad incrementare la resilienza, sono così riassunte da Goldstein:
1. Insegnare l’empatia praticandola
2. Insegnare la responsabilità incoraggiando la partecipazione
3. Insegnare a prendere decisioni modellando soluzioni dei problemi che promuovano l’autodisciplina (Aiutare il bambino a inquadrare il problema chiedendogli: “Qual è il problema? Che opzioni hai? Come puoi dividerli in passi?” Man mano che il bambino sviluppa l’interesse ed il coinvolgimento incrementa l’autodisciplina).
4. Insegnare l’ottimismo offrendo incoraggiamento. Quando si dà un riscontro iniziare sempre con una critica costruttiva che metta in risalto il lato positivo delle cose, al contrario spesso si instaura quello che Goldestein definisce la “danza disfunzionale” usando risposte negative e coercitive ai comportamenti indesiderabili dei bambini
5. Insegnare la competenza fornendo opportunità di fare pratica. Tutti i bambini hanno bisogno di “isole di competenza” speciali, abilità e talenti da usare per progredire nella vita.
La “prevenzione” primaria dei comportamenti, che significa creare le condizioni affinché ognuno si sviluppi al massimo delle proprie potenzialità, non esclude quella secondaria, ossia il recupero delle situazioni disfunzionali con degli interventi riabilitativi.
La situazione emergenziale della microcriminalità e di fatti efferati, esasperati strumentalmente dai mass media, stanno purtroppo portando ad una deriva cinica e forcaiola che mette sullo stesso piano l’inefficienza del sistema giudiziario con i propositi riabilitativi volti a non identificare il crimine con il criminale e ad approntare le condizioni perché un comportamento asociale non si trasformi in una condanna al disfacimento fisico-morale dell’individuo.
A cura di Giovina Ruberti
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