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L'apprendimento: una visione storica della teoria

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In ambito psicologico il termine apprendimento si riferisce ad un complesso processo che riguarda qualsiasi modificazione del comportamento, non del tutto riconducibile a risposte innate o a meccanismi di maturazione.

L’apprendimento, quindi, potenzia e sviluppa le competenze cognitive.

E’ nei primi anni del ‘900 che si comincia di “teoria dell’apprendimento”, grazie agli studi di J. Watson e l’approccio comportamentista.

Secondo l’approccio comportamentista l’apprendimento è una semplice acquisizione e consolidamento di determinate risposte causate da specifiche situazioni-stimolo, basate su sistemi più o meno complessi di ricompense.

Tra gli anni ’30 e ’40 si sviluppa un approccio costruttivista, portato avanti da F. Bartlett, con la teoria dello schema e l’approccio della Gestalt. Secondo questo approccio, il processo di apprendimento non può essere considerato come qualcosa di indipendente dal soggetto che lo sperimenta, poiché è il soggetto stesso a creare e costruire ciò che crede che esista.

 

Nello stesso periodo B. Skinner introduce il concetto di “scatola nera” e porta avanti degli esperimenti sul condizionamento operante (tecnica comportamentale ampiamente utilizzata nelle tecniche di sviluppo del potenziale nell’autismo e nel ritardo cognitivo).

A differenza del condizionamento classico, dove il rinforzo è segnalato dalla presentazione di un determinato stimolo, nel condizionamento operante il rinforzo positivo o negativo viene presentato solo se il soggetto fornisce una determinata risposta.

Negli anni ’60 e ’80 i processi di apprendimento vengono studiati secondo un approccio cognitivista, che considera l’essere umano come un soggetto che trasforma, elabora, riduce, immagazzina e recupera l’informazione.

In questo ambito le teorie di J Piaget prendono piede. Piaget ritiene che la genesi della conoscenza è un progressivo sviluppo delle strutture cognitive verso forme sempre più sofisticate (epistemologia genetica). Secondo lui i concetti fondamentali che sottostanno all’apprendimento sono: l’assimilazione, l’accomodamento e l’adattamento.

L’adattamento è relativo all’integrazione delle informazioni tra organismo e ambiente. Esso implica due processi complementari: l’assimilazione e l’accomodamento, l’equilibrio tra questi due processi produce adattamento.

Per assimilazione si intende il processo per cui ci si adegua alla realtà restando all’interno dell’organizzazione cognitiva che si ha a disposizione.

Con accomodamento ci si riferisce a modifiche che avvengono nell’organizzazione cognitiva in seguito a nuove esigenze poste dalla realtà.

I neopiagetiani introducono, all’interno della teoria di Piaget, alcuni costrutti tratti dal modello del computer, il cui funzionamento ricorda la modalità dell’apprendimento umano, quali: capacità limitata di memoria e concetti specifici per dominio.

Negli anni ’80, K. Nelson introduce il concetto degli scripts, che riguarderebbero il ricordo di scene, eventi e storie vissute nella vita quotidiana, che permetterebbero la generalizzazione dei comportamenti aumentando la capacità adattiva.

Si scopre così che il linguaggio, strumento principe per l’organizzazione degli scripts, è essenziale per i processi di apprendimento, e quindi nella trasmissione e costruzione della conoscenza.

Inoltre, riconoscere il ruolo del linguaggio significa riconoscere anche quello dell’interazione sociale, soprattutto perché lo scambio sociale, in situazioni di apprendimento/insegnamento, è sempre mediato da forme diverse di linguaggio.

Scaturiscono proprio da qui le teorie di L. Vygotskij, secondo cui il meccanismo essenziale dello sviluppo è dato dal passaggio graduale dal sociale all’individuale, dal funzionamento interpersonale a quello intrapsicologico: in questo passaggio avviene l’interiorizzazione delle funzioni psichiche superiori, che si manifestano prima nella relazione sociale e poi nel pensiero individuale.

I modelli più recenti sviluppati dalle neuroscienze suggeriscono che l’apprendimento produce modifiche strutturali biologiche, plasmando costantemente i circuiti cerebrali non solo del bambino ma anche dell’adulto. E’ quindi chiara l’ipotesi che l’uomo non sia completamente determinato dal proprio patrimonio genetico, ma dipenda anche dal contatto con gli altri e con la propria cultura.

dr.sa Paola Romitelli   

Bibliografia essenziale

P. H. Miller, Teorie dello sviluppo psicologico, Il Mulino (1994)

A:A., Psiche, Einaudi (2006)

 
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