La condizione dell’infanzia è drammatica: bambini abusati, venduti, sfruttati, bambini soldato, ecc. Da un altro versante bambini “viziati” ossia immersi nel benessere ma in una situazione di deserto affettivo causato dai troppi impegni dei genitori, da famiglie disfatte, da condizioni di stressante precarietà economico-sociale, da una mancanza di riferimenti culturali, dall’anomia sociale.
Di fatto una diffusa condizione di infanzia negata, anche qui in Italia dove la dispersione scolastica ha ormai raggiunto livelli allarmanti, dove i fenomeni di disagio si manifestano con episodi di cronaca di una brutalità inquietante, o di autodistruttività altrettanto angoscianti.
Viviamo in una condizione di apparente illimitata libertà. Ci viene detto che siamo responsabili e fautori del nostro destino, ma di fatto non si è messi in condizioni di manifestare un’autonomia decisionale ed esistenziale né maturata né concretizzabile.
L’Italia è uno dei paesi industrializzati con minore mobilità sociale, cioè conta più il retroterra culturale ed economico che fornisce la famiglia che ciò che offrono la scuola e la società. Nell’handicap la maggior parte della normativa, che si preoccupa dell’integrazione, si traduce di fatto in un non raggiungimento dell’autonomia e nella negazione di diritti fondamentali come l’autogestione dell’assistenza familiare, che vuol dire rendere flessibile l’assistenza secondo i ritmi del paziente e non disegnare la vita del paziente sulle esigenze delle ASL.
In un quadro così fosco si sente pressante l’esigenza di disporre di strumenti che consentano ai bambini di “crescere” nel senso più completo ed articolato del termine: cioè realizzarsi al massimo delle proprie potenzialità in salute e serenità.
I dati acquisiti sono:
-
Il cervello nasce immaturo e completa il proprio sviluppo dopo la nascita
-
La plasticità cerebrale persiste per tutta la vita, ma è addirittura “esplosiva” nei primi 3 anni di età
-
Vi sono diverse modalità individuali di apprendimento
-
Vi sono delle attitudini e propensioni innate, così come delle carenze e dei punti di forza che ci distinguono gli uni dagli altri
Da questi assunti sono stati ricavati dei principi educativi largamente condivisi dalle diverse scuole pedagogiche:
- La centralità del bambino
-
Un tipo di educazione che si svolga come un working in progress (ossia che si moduli sulle caratteristiche individuali man mano che si manifestino)
- Una educazione metacognitiva (ossia che insegni ad “imparare ad imparare”) contemporaneamente all’apprendimento curricolare
-
Un’armonizzazione dell’educazione che equilibri lo sviluppo fisico-cognitivo-sociale.
Tra le tante proposte pedagogiche quelle di cui vorrei parlare, sono:
- Il metodo Feuerstein
- Il metodo Mel Levine
Per quanto concerne il primo si tratta di una metodica fondata sull’assunto della “modificabilità cognitiva strutturale”(MCS - il cervello si modifica agendo - non solo nel funzionamento, ma anche nella struttura, ossia in modo permanente). Per innescare il cambiamento ci si avvale della “mediazione educativa” (ME - una metodica “conduttiva” che consiste nell’interporsi tra lo stimolo e il ricevente e tra il ricevente e la risposta) praticata in ogni situazione e, più specificamente, nella didattica “a-contenutistica” degli strumenti (PAS –Programma di Arricchimento Strumentale: una serie di schede cartacee preparate con gradualità per sviluppare i “pre-requisiti” dell’apprendimento). Il tutto avviene in un “ambiente modificante” (AM – si cerca cioè di coinvolgere la famiglia e le altre strutture nelle quali è inserito il bambino affinché lo stesso possa godere di un ambiente motivante e partecipe).
E’ un vero e proprio metodo “metacognitivo”, che può precedere o affiancare il percorso curricolare. Induce un progressivo arricchimento del linguaggio – strumento cardine della comunicazione non solo con gli altri ma anche con sé stessi. Porta l’allievo a sviluppare un atteggiamento riflessivo che promuove l’autocontrollo, l’introspezione (intesa come capacità di ragionamento consapevole e critico), l’autovalutazione da cui consegue un comportamento ottimistico di sfida con sé stessi basato sull’autostima, la flessibilità, la maturata consapevolezza che “sbagliare” non vuol dire “fallire”.
Ciò che si apprende con tale metodo, forse è meglio dire “si sviluppa” è una vera e propria “forma mentis” che attrezza ad affrontare in modo autonomo e consapevole le sfide della vita.
Il metodo di Mel Levine valorizza le attitudini individuali cercando di “personalizzare” non solo il curriculum, ma anche di utilizzare strumenti didattici “tarati” sulla persona.
Prima il genitore ed in seguito gli insegnanti devono, quando interagiscono con il bambino, cercare di “osservarlo” per individuarne i punti di forza e le debolezze, gli atteggiamenti ed i comportamenti: è un bambino più visivo o più acustico, più tattile o più cinestetico? (ossia impara meglio guardando o ascoltando, toccando o muovendosi?); è più introverso o estroverso?, ecc.
Da questa osservazione si prende spunto per attuare le procedure di compensazione per le carenze (ossia gli esercizi specifici di “rafforzamento”, per esempio per potenziare la lettura o il calcolo o la capacità di concentrazione) e nello stesso tempo per usare i punti di forza e le caratteristiche individuali (per un bambino a prevalenza cinestetico ci si avvarrà, per esempio, dei giochi di ruolo e delle drammatizzazioni).
L’assecondare le attitudini individuali non solo motiva il bambino ma gli offre anche l’opportunità di realizzarsi al meglio delle sue potenzialità.
Il metodo Feuerstein è a 360° per fornire a tutti gli strumenti (è proprio il caso di dirlo) per “conoscere se stessi” e progredire in una continua crescita sempre più consapevole e critica durante la quale si diventa “mediatori” di se stessi e si acquisisce una ricchezza di linguaggio che facilita l’interazione con gli altri.
Il metodo Levine è più specificamente volto a promuovere “l’unicità irripetibile” di ognuno di noi.
Si potrebbe dire, per semplificare: “conoscersi per realizzarsi”.
I pre-requisiti dell’apprendimento devono essere patrimonio di tutti e l’uso del linguaggio è sicuramente un mezzo che rende accessibile e socializzabile qualsiasi situazione; ciò detto è altresì vero che ognuno ha diritto ad essere e diventare se stesso.
Non è eccessivamente difficile impostare una lezione cercando di sfruttare tutti i canali percettivi per coinvolgere tutti i tipi di fruitori, basterebbe per esempio avvalersi di:
spiegazione orale (alunno uditivo)
diapositive (alunno visivo)
modellini (alunno tattile)
drammatizzazione (alunno cinestetico)
Non ci si è soffermati sull’odorato,sono rarissime le persone che si avvalgono prevalentemente di questo senso, non bisogna però dimenticare che l’odore è un eccezionale attivatore mnemonico, essendo legato alla parte più arcaica del nostro cervello (diffondere profumi nella stanza volti a “creare l’atmosfera”, potrebbe essere un’ottima idea).
Il progetto di Mel Levine si chiama “All Kinds of Minds”, in America è sponsorizzato da diverse fondazioni ed è sostenuto dai movimenti progressisti interessati a valorizzare le differenze individuali ed a promuovere la pluralità delle culture.
In conclusione si potrebbe suggerire agli educatori in genere e ai genitori in particolare, di:
-
Usare la mediazione (cioè presentare in modo progressivo e non caotico gli stimoli al bambino ed imparare ad interagire con lui “spiegandogli” quello che accade)
-
Inserire il bambino in ambienti ricchi di stimoli e “socializzanti” ossia con altre persone di diverse fasce di età (tuttavia non caotici)
Lo scopo è di diventare consapevoli di come educare ed insegnare per finalizzare le energie utilizzate per promuovere adeguatamente lo sviluppo.
Il bambino è dotato di potenzialità che coltivare è un dovere, per esempio il 40% dei bambini nasce con un orecchio assoluto (ossia con la capacità di individuare una nota singola emessa), purtroppo la maggior parte non “educa” questa dote e la perde, lo stesso dicasi per la capacità di “contare” punti ravvicinati nello spazio, e per tante altre caratteristiche.
Inoltre per ogni attività vi è un periodo critico in cui è più facile acquisire certe capacità; interagendo con il bambino e fornendogli diversi stimoli si può scoprire quando è pronto a fare che cosa e agire di conseguenza.
Si è constatato, per esempio che se un bambino impara a scrivere a 3 anni lo fa con grande facilità e praticamente non commette errori di grammatica, se lo fa a 6 anni lo fa a gran fatica e non sarà mai completamente sicuro della compitazione...ecc. ecc.
A cura di Giovina Ruberti