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Il dilagare del cutting

“Ogni volta che mi tagliavo non pensavo tanto a che cosa sarebbe uscito, non penso di aver mai creduto che da quelle ferite se ne sarebbe andata via la mia angoscia, godevo però nel vedere uscire il sangue...nel vedere la vita, che piano piano, se ne andava, come col contagocce... sadicamente mi guardavo con sguardo assente..Ogni fitta, ogni gemito, era per me un segnale che in me c’erano ancora sensazioni, che ero ancora in grado di sentire qualcosa, il più delle volte altro non mi sentivo che un involucro vuoto.
Le cicatrici le contavo, le accarezzavo, le osservavo, fiera di me, di me che sapevo soffrire così bene.. Bastava un litigio, un pensiero, un piccolo, apparentemente insignificante, cambio di programma.. ed ero legittimata a farmi del male... La cicatrice era per me un modo per mostrare a tutti l'insufficienza della mia natura. “ (www.chiarasole.it)


Queste sono alcune parole di una ragazza cutter, che con una grande profondità è riuscita a descrivere quale ombra si nascondesse dietro ad ogni taglio, di come per essere riconosciuta, per potersi affermare avesse bisogno di sentirsi attraverso un dolore importante.
L’autolesionismo rientra nelle condotte di acting out, ed una modalità molto riconosciuta tra sia tra le adolescenti che le preadolescenti. L'autolesionismo è un atto che implica il procurare, consciamente o meno, danni rivolti alla propria persona, sia in senso fisico che in senso astratto. Il termine deriva dall'incrocio di due termini, uno di derivazione greca, il prefisso (αυτός=se stesso) ed uno di derivazione latina, il verbo laedere, che ha lo stesso significato del moderno vocabolo italiano: ledere, danneggiare.


La sindrome potrebbe essere classificata nel sistema del DSM all'interno del gruppo “Disturbo del controllo degli impulsi non altrimenti classificati”, rispettando i canoni di :
1. Incapacità a resistere ad un impulso
2. Tensione crescente che precede il passaggio all'atto
3. Gratificazione e/o sollievo che segue l'atto.
Nella prospettiva di chi mette in atto una condotta autolesiva, l'incisione della propria pelle sarebbe un atto di rivendicazione della propria esistenza. L'autolesionismo diverrebbe, seppur a livello inconscio, una forma di auto aiuto, un atto estremo perché estrema è la condizione in cui il cutter si trova: una condizione di alienazione totale, non solo dal mondo che lo circonda, ma addirittura dalla sua stessa corporeità (Ladame, 2004). La tendenza all’acting, all’opposizione, alla ribellione, alla sperimentazione e al mettersi alla prova attraverso gli eccessi, sono espressioni utili per lo sviluppo dell’autodefinizione soprattutto durante l’adolescenza (Blos, 1971). Ma l’acting è sempre espressione di una comunicazione funzionale?
In questa fase evolutiva è importante distinguere modalità di attacco al corpo adolescence-limited, legate a tendenze e mode giovanili e al sostenimento della fragilità narcisistica (Ladame, 2004) che hanno la funzione di “protesi identitarie” (Le Breton, 2002), da altre più patologiche, più gravi a livello prognostico, caratterizzate dalla volontà di farsi intenzionalmente del male quali l’autolesionismo. Sulla scia degli studi compiuti da Moffitt (2003), relativi alla cronicizzazione dei comportamenti aggressivi etero-diretti, è possibile rilevare alcune modalità di aggressività auto-diretta life course persistent che si manifestano già nelle prime fasi dello sviluppo e che persistono e si cronicizzano nel corso del tempo fino a sfociare in un disturbo conclamato (Sindrome da Autolesionismo Ripetitivo).

Tali condotte si esprimono con modalità più violente e ripetitive e i sintomi si aggravano nel corso dello sviluppo, per cui risulta più lungo e complesso anche l’intervento terapeutico, soprattutto perché il comportamento autolesionista ripetitivo si presenta di frequente in comorbidità con altre patologie quali: disturbi alimentari, depressione, PTSD e disturbi di personalità, soprattutto di cluster B. Per autolesionismo intenzionale (Deliberate Self-Harm -DSH) o autoferimento intenzionale (Self-Injury Behaviour -SIB) si intende un comportamento che causa un danno o una lesione al proprio corpo o ad alcune parti di esso ed è contrassegnato da intenzionalità, ripetitività, assenza di intento suicidario (Cerutti et al., 2012); non deve verificarsi in risposta ad allucinazioni e in presenza di diagnosi di autismo o ritardo mentale grave. Tale comportamento è caratterizzato da mancanza di controllo dell’impulso, da un aumento della tensione e da una sensazione di sollievo successiva alla messa in atto dell’agito autolesivo. Assume importanza anche la ritualità con cui vengono messi in atto i tagli. Il DSH ha insorgenza nella prima adolescenza (12-14 anni). Le modalità autolesive più frequentemente utilizzate sono il tagliarsi (cutting), il bruciarsi (burning) o marchiare a fuoco la pelle con un laser o un ferro rovente; le scarificazioni; l’interferire con il processo di cicatrizzazione delle ferite, mordersi, inserirsi oggetti sotto la pelle e sotto le unghie (branding) oppure il microdermal che consiste nell’impiantare sotto la pelle una placca di titanio a forma di L la cui cima può essere cambiata in funzione delle esigenze estetiche.
Il corpo, può rappresentare un luogo di espressione della sofferenza psichica oppure lo strumento per comunicare i propri bisogni e conflitti evolutivi.


Il cutting ha la funzione di gestire stati emotivi particolarmente intensi come la rabbia, la frustrazione, la vergogna e il vuoto (Connors, 1996) e di autoregolare l’affettività. Infatti, l’acting rivolto al proprio corpo annulla il senso di torpore e, più in generale, la sofferenza psichica ad esso connesso divenendo, contemporaneamente, un meccanismo di gestione della tensione, della disforia, dell’ansia e delle situazioni stressanti.
Ridefinire i confini corporei: perché la pelle?
Le parti del corpo più frequentemente attaccate sono le braccia, le gambe, il torace ed altre aree sulla parte frontale del corpo essendo, da un lato le zone più facilmente accessibili e, dall’altro, più facilmente occultabili, per poter mantenere intatta segretezza di tali condotte. La pelle rappresenta l’elemento di separazione, di confine tra il mondo interno ed il mondo esterno, di comunicazione e di interazione tra i due mondi e di distinzione tra il dentro e il fuori; “il corpo, e soprattutto la sua superficie, è il luogo dove possono generarsi contemporaneamente percezioni esterne e interne” (Freud, 1922). La pelle è il luogo dove si supera in maniera chiara la contrapposizione tra corpo e mente in quanto si vengono a trovare in contatto l’apparato psichico e l’apparato fisico non più distinguibili (Anzieu, 1985).
Anzieu (1985) definisce l’Io-Pelle come una rappresentazione di cui l'Io del bambino si serve, durante le fasi precoci dello sviluppo, per rappresentarsi se stesso come Io che contiene i contenuti psichici, a partire dalla propria esperienza della superficie del corpo. La pelle, infine, è, contemporaneamente alla bocca, un luogo e un mezzo di comunicazione primario con gli altri, con cui stabilire relazioni significative; essa è, in più, una superficie di iscrizione delle tracce lasciate da queste.
Gaddini (1981), sottolinea come lo sviluppo della mente sia un processo che si origina dal corpo e implica una graduale acquisizione mentale del Sé corporeo. L’apprendimento mentale è primariamente un apprendimento del funzionamento fisiologico. Il concetto di Io-Somatico o Io-Pelle, ripreso da Gaddini (1987), rappresenta la primissima organizzazione del Sé sperimentata attraverso le sensazioni corporee, soprattutto quelle tattili. Il bambino, qualora non venga adeguatamente stimolato a livello sensoriale non riuscirebbe a percepire la sensazione di essere un’ unica entità, protetta e contenuta dalla pelle. Ciò determinerebbe un’ incapacità di saper differenziare il sé dagli altri, dentro e fuori, fantasia e realtà. L’autolesionismo interverrebbe nel risolvere questi conflitti attraverso un utilizzo primitivo del corpo (Gaddini, 1987).
“L’automutilazione ridefinisce i confini del corpo, differenziando il sé dagli altri. Il sangue che scorre dalle ferite prova che dentro il corpo c’è la vita. La stimolazione della pelle attraverso l’automutilazione aiuta a ricostruire la frantumata percezione del sé, riattivando l’Io-Somatico e forse ricreando un’esperienza tattile che, almeno per chi si ferisce è piacevole e consolatoria” (Raine, 1982). Il self-injurer sente il bisogno di attaccare il proprio confine, in questo modo il dolore silente potrebbe trovare sfogo al fine di essere regolato e calmato. Il dolore, la ferita di sé, vengono pensati come una forma ritualizzata che consente all'individuo di riconfigurare a suo piacimento i confini tra il sé ed il mondo che lo circonda.
E’ incredibile come le forme di cutting si trovino frequentemente in comorbidità con i disturbi alimentari, e quindi con la capacità di manipolare, controllare e annientare il corpo. Mi chiedo cosa dovrà mai fare un adolescente per sentirsi riconosciuto, per essere visto per quello che è, aldilà di tutte le aspettative genitoriali e sociali.
Questo fenomeno non è un caso che si sta diffondendo soprattutto su internet, attraverso sistemi come twitter o video su youtube, in cui le persone possono condividere questo dolore, seguire ogni sfumatura emotiva, chiudersi nel proprio gruppo senza che qualcuno posso giudicare o possa non supportare il loro peso. Dico non è un caso, perché viene usato un mezzo di comunicazione in cui non c’è alcun contenimento fisico, in cui la relazione non è concreta, il confronto fisico non c’è ma ci si può nascondere dietro a uno pseudonimo, come se il dolore non riuscisse ad avere un contenitore visibile.

Dott.ssa Valentina Bottiglieri
Bibliografia
Anzieu D., Le Moi-peau. Bordas, Paris, 1985.
Blos P., L’adolescenza. Una interpretazione psicoanalitica. Milano, Franco Angeli, 1971.
Cerutti, R., Presaghi F., Manca M., Gratz K.L. Deliberate self-harm behavior among Italian young adults: Correlations with clinical and nonclinical dimensions of personality. American Journal of Orthopsychiatry, 2012.
Connors R., Self-injury in trauma survivors: I. Functions and meanings. American Journal of Orthopsychiatry, 66, 2, 197-206, 1996.
Freud S., L’Io e l’Es. In Opere IX, Torino, Bollati Boringhiri, 1922.
Gaddini E., Fantasie difensive precoci e processo psicoanalitico, Scritti (1953-85), Milano, Raffaello Cortina, tr. it. 1989, 1981.
Gaddini E., Notes on the Mind-Body Question, The International Journal of Psychoanalysis, 68, 315-329, 1987.
Ladame F., Attacchi al Corpo ed il Sè in pericolo in Adolescenza, Childhood and Adolescent Psychosis, 10, 77-81, 2004.
Le Breton D., Signes d’identité. Tatouages, piercings et autres marques corporelles, Paris, Editions Métailé, 2002.
Moffitt T.E., Life-course persistent and adolescent-limited antisocial behavior: a 10-year research review and research agenda. In Lahey B.B., Moffitt T.E., Caspi A., Causes of conduct disorders and juvenile delinquency, New York, Guilfort Press, 2003.
Raine W.J., Self mutilation, Journal of adolescence, 5. 1, 1-13, 1982.

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